mercoledì 25 febbraio 2009

Colpi di genio al tg1



Al penoso telegiornale serale della rai, tra le solite sfilate di politici con i loro messaggi spot (ma il ruolo del giornalista è solo quello di reggi-microfono? credevo dovesse fare anche delle domande..) e un servizio allarmante sugli emo (si proprio così) parte un servizio strappalacrime su come il teatro riuscirà a salvare scampia.

La cosa interessante è l'intervista di una giovane "mente" partenopea che dopo aver blaterato che non tutti sono così (come?) afferma che la scelta ultima di delinquere è sempre dell'individuo (no, non l'ha detto così bene), anzi testualmente: "..se uno vuol fare il cammorrista libero, però uno è anche libero di non.."

E' proprio dietro questa affermazione apparentemente condivisibile che si cela il cuore del problema, ovvero una mentalità deviata responsabile della sciagurata situazione che siamo costretti a vivere.

NON SEI LIBERO DI FARE IL CAMORRISTA, perchè ci sono delle leggi che vietano le azioni di un mafioso.
Questo è quello che davvero non si vuol capire, e mi riferisco alle persone oneste, che si credono immuni dal male.
Una legge va rispettata punto, non è una indicazione da tenere in considerazione a seconda delle condizioni climatiche.
Questo nostro modo assurdo di intendere la vita sociale è riscontrabile ovunque, anche nelle cose più innocenti.

Viene in mente la storia di una mia zia che, dovendosi sottoporre ad un esame medico per cui era richiesto il digiuno, disse "va bene non faccio colazione, magari prendo solo uno yogurt.."

Pistol Pete





Era passata l'una di notte e ormai i camerieri avevano rivoltato le sedie sui tavoli. Il pub era vuoto e tutti erano pronti per andare a dormire. Io invece restavo con lo sguardo incollato al maxi-schermo. Era domenica notte e l'indomani cominciava la scuola, di nuovo e per l'ultima volta. Il mio amico mi propose di lasciarmi le chiavi del locale, mentre io non capivo come, dopo tre ore, potessi essere l'unico ad essere rapito da quel match. Anche i miei amici se ne erano andati, poco a poco. Non sapevano che il primo game di quel match era cominciato 12 anni prima e ora, sullo stesso campo, tutto stava per finire.


Si affrontavano Pete Sampras ed Andrè Agassi, sui campi della grande mela, come nella prima epica finale tra i due che consegnò il primo grande slam a Sampras.

La rivalità che ha infiammato il tennis degli anni novanta, spettacolare, velocissimo e pieno di grandi talenti, ma che i due americani hanno giocato su un altro pianeta. La loro rivalità era totale, due stili diversi, ma soprattutto due persone diverse, quasi opposte, che non si capivano reciprocamente ma si rispettavano.

Da un lato c'era "Sweet Pete" col suo faccione da cagnolone, sempre mite e misurato, rispettoso dell'avversario e mai fuori posto. Figlio di immigrati greci, Sampras proveniva da Washington, ma si era formato tennisticamente in California.

Dall'altro lato c'era il "kid di Las Vegas", un ragazzaccio punk che si presentava al campo con capelli lunghi e biondo ossigenato, orecchino, completini giallo fosforescente e smalto rosa. Figlio di un pugile iraniano, Agassi fu avviato al tennis all'età di 2 anni. Il padre aveva già scritto per lui un destino da campione, crescendo Agassi lo divenne, ma questa pressione gli causò anche una forte ribellione verso le convenzioni. Dopo l'era punk infatti, vennero anche le crisi di nervi, Barbara Streisand e matrimoni reclamizzati, che per una parte della sua carriera lo catapultarono al numero 142 della classifica ATP.




Il sistema di gioco adottato da Sampras si definisce "serve and volley", in pratica il battitore segue il servizio a rete esponendosi maggiormente al colpo dell'avversario, ma ha maggiori possibilità di giocare un vincente. Il servizio al fulmicotone (giocato con racchette da 50 grammi per imprimere ancora più forza) con cui Pete si prepara la discesa a rete, è il colpo fondamentale di questo schema. Il servizio risulta ancora più straordinario sulla seconda palla, giocata ad un livello di difficoltà inaccessibile a tutti gli altri tennisti del circuito. Durante la battuta Sampras inarca molto la schiena, mette l'occhio sinistro sotto la pallina e conferisce un taglio micidiale al suo colpo, che rimane mascherato fino alla fine. Preparato il terreno si scende a rete rapidamente per giocare la volet o se la risposta si impenna, per la gioia del pubblico, la versione da "slam dunk contest" dello smash. Sampras ha una mano molto educata sotto rete, considerato che a volte la pallina viaggia a velocità folle dopo la risposta ad un suo servizio. Altro colpo straordinario di Sampras è il diritto. L'apice di questa giocata è nella versione cross stretto in corsa giocato tutto di polso, e a volte con la pallina che rimbalza più dietro del baricentro del corpo. Il rovescio invece è il colpo costruito, giocato ad una mano per essere aggressivo (e aggiungo stilisticamente più bello). E' un colpo ondivago, a volte regala delle perle, ma è anche falloso specie sotto pressione. Una critica rivolta al gioco di Sampras è la sua dipendenza dal servizio, speculativa a mio parere. Tutti i giocatori hanno colpi più validi su cui basano il loro gioco, nel caso di Sampras c'è la volontà di attaccare, di prendersi molti rischi su tutte le palline, di giocare colpi per chiudere lo scambio e non colpi interlocutori in attesa dell'errore avversario. Questo gioco aggressivo espone a molti errori nelle giornate nere, specie se non riesci a "martellare" con il servizio. Inoltre Sampras, affetto anche dall'anemia mediterranea, in particolare nella seconda parte di carriera era costretto ad accorciare ancora di più la partita e a chiedere di più al servizio anche per motivi fisici.


Pistol Pete chiuse la sua carriera quella sera con 14 titoli dello slam, 286 settimane da numero uno, numerose partite epiche. come la vittoria su Courier a Melbourne in lacrime (aveva appena appreso che il suo coach, che si trovava negli USA, aveva scoperto un male che l'avrebbe stroncato in pochi mesi) o quella contro Corretja a New York, dopo un forte malore con vomito (legato ad un'ulcera da stress causatagli della sua posizione atp). Soprattutto chiuse la sua carriera dopo numerose sfide agguerrite contro Agassi. Le partite tra loro erano esaltate dalle differenze di stile, Andrè infatti giocava da fondo campo, con risposte al servizio micidiale, diritto e rovescio (anche se a due mani) strepitosi grazie alla capicità di anticipare tantissimo il colpo sul rimbalzo. Questa capacità di anticipare toglieva tempo all'avversario per arrivare sulla pallina. L'effetto era che dopo ogni colpo l'avversario era sempre più in ritardo, strangolato in un cappio che in cinque sei colpi l'avrebbe fatto capitolare. Si diceva che Agassi fosse il miglior ribattitore da fondo campo, Sampras il miglior attaccante sul servizio. Ogni punto giocato sul servizio di Sampras era dunque una lotta basata sui colpi in cui i due davano il meglio, a vantaggio dello spettacolo.

L'immagine davanti ai miei occhi riassumeva perfettamente tutto questo, cominciava l'ultimo gioco, Sampras si portava al servizio per conquistare l'ultimo agognato slam e chiudere in bellezza la sua straordinaria carriera, dall'altra parte, come al solito, a rispondere c'era Agassi.






Neuroscienze



Se non sapete nulla di neurofisiologia e allo stesso modo ignorate i fondamenti della psicologia e della psichiatria vi consiglio di continuare a farlo. Scoprire che siamo più stupidi di un discorso di Schifani al senato può essere destabilizzante. I nostri sentimenti le nostre emozioni sono disperatamente ridicole, viene quasi voglia di piangere istericamente dalle risate quando lo capisci. Ogni giorno mi assorbo nello spettacolo sentimentaloide che c'è in giro, praticamente ovunque, specie nella tv di casa nostra, tanto che riesco ad avvertirlo anche quando è spenta. Sinapsi, circuiti, chimica. Semplici meccanismi di negazione, rimozione, compensazione, proiezione.. gli si dà davvero troppa importanza. Bisognerebbe guardarsi dentro essendo terzi rispetto a se stessi, consci di quello che accade inevitabilmente dentro di noi.

Sentimenti sciocchi, eppure a volte mi sento bene e altre male. So che è il mio umore che mi prende in giro, ma non riesco, alla fine, a non sentirmi molto misero anch'io.

martedì 24 febbraio 2009

Bohème




In un tempo lontano e in un paese immaginario (la Francia dell'800) le persone al di fuori delle logiche e delle convenzioni sociali, artisti o artistoidi che fossero, si riteneva provenissero dalla boemia per i loro modi da gitani. In realtà i gitani non vengono affatto dalla boemia, ma il termine bohème è sopravvissuto alle sue erronee origini.
Tuttavia quando lo si applica al mondo del pallone le sue connotazioni geografiche tornano valide, perché da quella terra proviene un personaggio fuori dagli schemi, un vero bohème, Zdenek Zeman.
Smilzo, consumato dal fumo, amimico e con una voce che pare provenire dall'oltretomba, quest'uomo ha fatto della lealtà, attacco e zona, il suo vangelo a cui non ha mai disobbedito. Questa tensione integralista è probabilmente stata il suo limite più grande, ma un uomo che non si piega, un uomo di principi, in questo calcio e per di più in questo paese non può non essere apprezzato. In alcuni suoi celebri aforismi si riassume la sua filosofia.


"Non c’è nulla di disonorevole nell’essere ultimi. Meglio ultimi che senza dignità."
"Mio padre mi voleva medico. Come lui. Meno male che non è andata così."
"Dovrei parlare di arte? Di politica? Di economia? Io sono uno che sta nel calcio, se un giornalista viene da me lo fa perchè vuole avere un'opinione competente, altrimenti fuori dal calcio io sono uno qualunque e il mio parere conta come quello di un contadino. Eppure dal contadino non va nessuno."
"Raramente mi capita di dire una bugia. Per questo mi sento solo. E' un mondo, il nostro, in cui se ne dicono tante."
"Non è vero che non mi piace vincere: mi piace vincere rispettando le regole."
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L'ultima frase è dedicata a chi lo accusava di aver parlato di doping ( ..si sono dimostrate le sue ragioni..) solo per gelosia.

Il sistema di gioco del tecnico ceco, diplomatosi con una tesi sulla medicina nello sport all'Isef di Palermo (dove si trovava per sfuggire all'invasione russa di quella che era la cecoslovacchia) , è solo e inevitabilmente il 4-3-3.
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"Modulo e sistemi di allenamento non li cambierò mai, qui a Roma come in un'altra città. Per coprire il campo non esiste un modulo migliore del 4-3-3."
"E' il modo più razionale per coprire gli spazi perchè non esiste giocatore che non lo può fare"
d
In fase di possesso palla lo schema prevede due ali larghe sulle fasce, un centrocampista centrale dotato di visione di gioco e lancio, due interni capaci di sganciarsi e con polmoni d'acciaio, i terzini in costante sovrapposizione e una punta centrale. Un'azione tipica si sviluppa con un lancio del centrocampista centrale per l'ala che al momento della ricezione è il vertice di un triangolo formato anche dall'interno e dal terzino. A questo punto il terzino si sovrappone e l'ala può decidere di servirlo, oppure rientrare per la possibilità di tiro o cross (le ali giocano sulla fascia opposta a quella del loro piede preferito) oppure appoggiarsi dietro sull'interno.
Alla base del sistema c'è una completa copertura del campo da gioco grazie ad una partecipazione di molti uomini all'azione offensiva. La rapidità dei tocchi di prima produce le difficoltà della difesa nel chiudere tutte le opzioni al portatore di palla.
Le squadre di ZZ hanno sempre preso molti gol, ma non perchè l'aspetto difensivo non fosse curato dal mister. Il sistema difensivo è anzi abbastanza complesso e anche rischioso, ed è caratterizzato dalla volontà di recupera il pallone attraverso il pressing e non con l'estenuante attesa dell'errore altrui. Ovviamente la disposizione è a zona..

"Da piccolo a Praga mi dissero 'prendi quella posizione' e mai 'prendi quell'uomo': da quel giorno non ho più cambiato idea, sarebbe stata la zona il mio modulo di gioco ideale."

La difesa è altissima, gli spazi sono tutti coperti e rapidamente aggrediti, ma un errore sulla linea del fuorigioco può improvvisamente spianare dell'autostrade a tre corsie per la porta. I difensori sono spesso in situazione di uno contro uno, seppure il lavoro del centrocampo è quello di far ricevere palla solo in posizioni obbligate e prevedibili, questo espone ad una forte pressione il difensore che non può sbagliare, nè fare fallo, pena l'espulsione. Il portiere in questo sistema è spesso sollecitato, con uscite a volte disperate e retropassaggi continui che lo impegnano con i piedi.
Il meccanismo ideato dal boemo è un congegno letale se applicato alla perfezione, ma anche una trappola micidiale al minimo errore di esecuzione. Quando ciò accadeva Zeman diceva:

"Io alleno, ma non posso scendere in campo e giocare."



lunedì 23 febbraio 2009

Triple post offense



La triangle offense o triple post offense è l'attacco attualmente utilizzato dei lakers. Sviluppato da Tex Winter ufficialmente negli anni '50, i principi di questo attacco sedimentavano tuttavia già da una decina d'anni almeno nelle sinapsi di Sam Barry. La storia ha voluto che Tex Winter diventasse assistant coach negli anni '80 ai bulls, dove un altro assistente, poi head coach, Phil Jackson potè così incontrare e sposare questo sistema di gioco. Contestualmente a Chicago in quegli anni si aggirava gente del calibro di Jordan, Pippen Rodman Harper Kukoc e compagnia, cosa che contribuì non poco a far diventare la "windy city" la capitale del basket mondiale. Jax e Tex conclusa l'esperienza nell'Illinois decisero di intraprendere una nuova avventura nella città degli angeli.

Il sistema di gioco è una cosiddetta "motion offense" giocata sul principio del "read and react". Questo vuol dire che in questo genere di attacco non esistono dei giochi da chiamare e preparati a tavolino, ma si assumono determinate posizioni in campo, frutto del movimento continuo dei giocatori, e si obbliga la difesa a scoprirsi. Una volta che la difesa si è sbilanciata bisogna rapidamente accorgersi del punto debole (read) e attaccarlo (react). Questo significa che i cinque attaccanti non sanno neanche loro a cosa li porterà quella determinata azione offensiva, ma dovranno adeguarsi in base al movimento dei difensori, confidando che tutti, all'unisono, avranno la stessa lettura dei movimenti della difesa. L'altra caratteristica di questo attacco è il movimento continuo di palla e uomini (motion) che non deve mai essere rotto attraverso il palleggio e il mantenimento di una posizione fissa. In pratica questo attacco è fedele alla spirito del gioco come lo voleva Naismith che, quando inventò la pallacanestro decretò la regola che un giocatore non poteva correre con la palla in mano. La regola fu subito aggirata dal palleggio (nato come tentativo di correre lanciandosi la palla avanti), ma in questo attacco, in teoria, il palleggio scompare di nuovo in quanto rallentamento dell'azione che consente alla difesa di disporsi di nuovo.
Gli uomini e la palla si muovono continuamente finché uno di loro non sarà smarcato e potrà eseguire un tiro ad "alta percentuale" (di riuscita). Ovviamente questo tipo di gioco toglie qualcosa (eufemismo) al talento individuale e tratta i 5 giocatori come se fossero tutti uguali e interscambiabili, pertanto viene abbondantemente rivisitato nella sua versione moderna.
I Lakers raggiunta la metà campo avversaria si dispongono per formare un triangolo tra un giocatore in post-basso (comunemente il centro) e due giocatori posizionati in ala e in angolo. Gli altri due giocatori sono posizionati uno in post-alto sul lato debole (senza palla) e l'altro in punta. Da questa posizione iniziale cominciano una serie di movimenti, tagli e blocchi che serviranno a muovere la difesa. E' interessante notare come in questo sistema sia praticamente inutile la figura del play-maker, in quanto il giocatore che ha portato palla nella metà campo offensiva, si limita poi ad un semplice "entry-pass" per il giocatore in post. Particolarmente importante per la riuscita dell'attacco sono le spaziature tra i giocatori, non si può infatti ottenere una buona circolazione di palla e soprattutto il movimento della difesa se i giocatori non sono alla giusta distanza tra loro, ovvero la distanza che consente di creare spazi per infilarsi, che obbliga i difensori a muoversi, ma che non è tale da limitare la pericolosità del singolo, tanto da consentire al difensore di occupare una posizione più vantaggiosa.
Tra le contromisure utilizzate per difendersi da questo attacco, c'è quella di pressare molto a metà campo, e quella di aggredire l'entry pass cercando di anticipare la ricezione in post o quanto meno farla avvenire il più lontano possibile da canestro. L'idea è quella di ridurre il tempo a disposizione per l'azione offensiva (la circolazione di palla richiede qualche secondo prima di risultare efficace e muovere la difesa, inoltre è più complessa se si ha fretta) e di alterare le spaziature essendo i giocatori più lontani dal canestro e quindi meno pericolosi.
Il bello, secondo me, è che alla fine di questa intrigante partita a scacchi tra attacco e difesa, c'è il momento in cui l'uomo con la sua voglia, la sua paura, il suo fato scocca il tiro, e non è detto che quello ben costruito vada dentro e quello mal preso vada fuori.











domenica 22 febbraio 2009

Il primo giorno di Barack


Ha annunciato un piano di riconversione ecologica di auto ed edifici per ridurre la dipendenza energetica del paese e per ridurre l'emissione di gas serra.
Ha annunciato la chiusura di Guantanamo.
Ha riaffermato il diritto all'aborto.
Ha dato il via libera alla ricerca sulle staminali.
Ha nominato Mitchell, già mediatore di pace in Irlanda del Nord, inviato speciale per il Medio Oriente e Holbrooke, mediatore di pace in ex-jugoslavia, inviato speciale per il Pakistan.

Barack, se puoi venire da noi una settimana..


Incipit


Il primo è soltanto un augurio, buonanotte a te.

Ti sto inviando il sole, aspettalo con fiducia perchè "il mattino ha l'oro in bocca".