mercoledì 25 febbraio 2009

Pistol Pete





Era passata l'una di notte e ormai i camerieri avevano rivoltato le sedie sui tavoli. Il pub era vuoto e tutti erano pronti per andare a dormire. Io invece restavo con lo sguardo incollato al maxi-schermo. Era domenica notte e l'indomani cominciava la scuola, di nuovo e per l'ultima volta. Il mio amico mi propose di lasciarmi le chiavi del locale, mentre io non capivo come, dopo tre ore, potessi essere l'unico ad essere rapito da quel match. Anche i miei amici se ne erano andati, poco a poco. Non sapevano che il primo game di quel match era cominciato 12 anni prima e ora, sullo stesso campo, tutto stava per finire.


Si affrontavano Pete Sampras ed Andrè Agassi, sui campi della grande mela, come nella prima epica finale tra i due che consegnò il primo grande slam a Sampras.

La rivalità che ha infiammato il tennis degli anni novanta, spettacolare, velocissimo e pieno di grandi talenti, ma che i due americani hanno giocato su un altro pianeta. La loro rivalità era totale, due stili diversi, ma soprattutto due persone diverse, quasi opposte, che non si capivano reciprocamente ma si rispettavano.

Da un lato c'era "Sweet Pete" col suo faccione da cagnolone, sempre mite e misurato, rispettoso dell'avversario e mai fuori posto. Figlio di immigrati greci, Sampras proveniva da Washington, ma si era formato tennisticamente in California.

Dall'altro lato c'era il "kid di Las Vegas", un ragazzaccio punk che si presentava al campo con capelli lunghi e biondo ossigenato, orecchino, completini giallo fosforescente e smalto rosa. Figlio di un pugile iraniano, Agassi fu avviato al tennis all'età di 2 anni. Il padre aveva già scritto per lui un destino da campione, crescendo Agassi lo divenne, ma questa pressione gli causò anche una forte ribellione verso le convenzioni. Dopo l'era punk infatti, vennero anche le crisi di nervi, Barbara Streisand e matrimoni reclamizzati, che per una parte della sua carriera lo catapultarono al numero 142 della classifica ATP.




Il sistema di gioco adottato da Sampras si definisce "serve and volley", in pratica il battitore segue il servizio a rete esponendosi maggiormente al colpo dell'avversario, ma ha maggiori possibilità di giocare un vincente. Il servizio al fulmicotone (giocato con racchette da 50 grammi per imprimere ancora più forza) con cui Pete si prepara la discesa a rete, è il colpo fondamentale di questo schema. Il servizio risulta ancora più straordinario sulla seconda palla, giocata ad un livello di difficoltà inaccessibile a tutti gli altri tennisti del circuito. Durante la battuta Sampras inarca molto la schiena, mette l'occhio sinistro sotto la pallina e conferisce un taglio micidiale al suo colpo, che rimane mascherato fino alla fine. Preparato il terreno si scende a rete rapidamente per giocare la volet o se la risposta si impenna, per la gioia del pubblico, la versione da "slam dunk contest" dello smash. Sampras ha una mano molto educata sotto rete, considerato che a volte la pallina viaggia a velocità folle dopo la risposta ad un suo servizio. Altro colpo straordinario di Sampras è il diritto. L'apice di questa giocata è nella versione cross stretto in corsa giocato tutto di polso, e a volte con la pallina che rimbalza più dietro del baricentro del corpo. Il rovescio invece è il colpo costruito, giocato ad una mano per essere aggressivo (e aggiungo stilisticamente più bello). E' un colpo ondivago, a volte regala delle perle, ma è anche falloso specie sotto pressione. Una critica rivolta al gioco di Sampras è la sua dipendenza dal servizio, speculativa a mio parere. Tutti i giocatori hanno colpi più validi su cui basano il loro gioco, nel caso di Sampras c'è la volontà di attaccare, di prendersi molti rischi su tutte le palline, di giocare colpi per chiudere lo scambio e non colpi interlocutori in attesa dell'errore avversario. Questo gioco aggressivo espone a molti errori nelle giornate nere, specie se non riesci a "martellare" con il servizio. Inoltre Sampras, affetto anche dall'anemia mediterranea, in particolare nella seconda parte di carriera era costretto ad accorciare ancora di più la partita e a chiedere di più al servizio anche per motivi fisici.


Pistol Pete chiuse la sua carriera quella sera con 14 titoli dello slam, 286 settimane da numero uno, numerose partite epiche. come la vittoria su Courier a Melbourne in lacrime (aveva appena appreso che il suo coach, che si trovava negli USA, aveva scoperto un male che l'avrebbe stroncato in pochi mesi) o quella contro Corretja a New York, dopo un forte malore con vomito (legato ad un'ulcera da stress causatagli della sua posizione atp). Soprattutto chiuse la sua carriera dopo numerose sfide agguerrite contro Agassi. Le partite tra loro erano esaltate dalle differenze di stile, Andrè infatti giocava da fondo campo, con risposte al servizio micidiale, diritto e rovescio (anche se a due mani) strepitosi grazie alla capicità di anticipare tantissimo il colpo sul rimbalzo. Questa capacità di anticipare toglieva tempo all'avversario per arrivare sulla pallina. L'effetto era che dopo ogni colpo l'avversario era sempre più in ritardo, strangolato in un cappio che in cinque sei colpi l'avrebbe fatto capitolare. Si diceva che Agassi fosse il miglior ribattitore da fondo campo, Sampras il miglior attaccante sul servizio. Ogni punto giocato sul servizio di Sampras era dunque una lotta basata sui colpi in cui i due davano il meglio, a vantaggio dello spettacolo.

L'immagine davanti ai miei occhi riassumeva perfettamente tutto questo, cominciava l'ultimo gioco, Sampras si portava al servizio per conquistare l'ultimo agognato slam e chiudere in bellezza la sua straordinaria carriera, dall'altra parte, come al solito, a rispondere c'era Agassi.






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